Sarriá, camminare su uno stadio che non c’è più

Spesso non c’è un motivo per cui si fanno alcune cose nella vita. O forse sì. Quando decisi di andare a visitare il luogo dove sorgeva lo stadio Sarriá sembrava un follia solo pensarla ma mentre lo stavo dicendo a chi era con me in viaggio a Barcellona la prospettiva cambiò e  mi sembrò un’idea geniale. Quasi una tappa dovuta. Era la mia seconda volta nella città catalana e a quel barrio, situato a nord di Diagonal proprio sotto al Tibidabo, non mi ci ero nemmeno avvicinato.

Girare in luoghi che non conosco per niente mi affascina da sempre ma, allo stesso tempo, resta una sensazione di incertezza dettata dall’ignoto. Dopo essere sceso alla fermata della metropolitana Sarrià mi incammino verso questo luogo non sapendo bene cosa aspettarmi perché ho visto pochissime foto e, fondamentalmente, lo stadio non esiste più.

L’impianto dell’omonimo quartiere venne costruito nel 1923 ed è stato demolito nel 1997: il 21 giugno ospitò la gara tra Espanyol e Valencia vinta dai catalani per 3-2. Pochi mesi dopo, a settembre dello stesso anno, venne buttato giù in seguito alla vendita del terreno da parte del club Periquito in seguito alle pressioni da parte dei soci e per sopperire ad alcune posizioni debitorie. Al suo posto oggi ci sono alcuni edifici residenziali e un parco che si chiama “Jardins del Camp de Sarrià”. La seconda squadra della metropoli catalana dopo aver giocato per anni allo stadio olimpico Lluís Companys (impianto situato sulla collina del Montjuïc) ora ha la sua casa al Cornellà-El Prat.

Da parte mia questo impianto lo avevo visto solamente in tv, attraverso le VHS con cui mio padre mi avvicinò al calcio, o in fotografia ed essendo nato anni dopo la vittoria del Mondiale 1982 il coinvolgimento nei confronti di quella vittoria della Nazionale Italiana è dettato soprattutto dai racconti, dai ricordi di quelle persone che videro quelle partite in diretta e da chi quell’impresa l’ha compiuta (ho avuto la fortuna di conoscere qualche componente di quella selezione di Enzo Bearzot).

I punti di riferimento sono pochi e piuttosto vaghi. Il caldo di agosto si sente e dopo aver fatto la conoscenza del musicologo Joaquim Pena, attraverso la piazza a lui dedicata, inizio a perdere un po’ la bussola nonostante pensassi di essere molto vicino all’ex impianto sportivo. C’è poca gente in giro perché è primo pomeriggio e mi aggiro lungo questo stradone, Ronda del General Mitre, quando decido di attraversare la strada e mi ritrovo in uno spazio verde in mezzo ad alcune palazzine ma non mi addentro perché non sono sicuro che il parco che cerco sia questo che ho davanti. Ad un certo punto vedo una tabella verde con scritte nere coperta da adesivi e poco curata: ci sono. Sto camminando dove prima c’era il Sarriá.

Dopo aver passeggiato al centro di questo complesso residenziale, mi accorgo che i percorsi pedonali convergono in una zona centrale, sopraelevata rispetto al resto, dove era situato il centrocampo dello storico rettangolo verde (la foto precedente dovrebbe essere una vaga testimonianza e mi scuso per la mia incapacità). Fatto quasi tutto il perimetro mi accorgo che una via laterale è intitolata a Ricardo Zamora, il portiere più famoso del calcio spagnolo a cui è intitolato anche il premio annuale per migliore estremo difensore della Liga. Dopo aver camminato tanto mi siedo in questo giardinetto che a quell’ora vedeva la presenza di ragazzi, lavoratori in pausa e persone di mezza età.

Ho sempre la sensazione che vi sia qualcosa di magico nelle storie altrui, in quelle che non hai vissuto in prima persona. Quando qualcuno parla di cos’è stato questo o quell’avvenimento, dove e come lo ha vissuto, c’è qualcosa di talmente intimo che spesso sfonda il muro del semplice racconto e diventa quasi reale. A volte sembra si possa tastare con mano in quello stesso istante.

Una volta seduto sulla panchina, oltre alla solita richiesta di un “cigarillo” da parte degli autoctoni di fronte che tracannavano Mahou in grande stile, mi metto comodo e dopo aver buttato uno sguardo ai quotidiani acquistati mi viene automatico iniziare a ricostruire l’impianto come lo avevo visto in tv. Spesso e volentieri l’immaginazione apre alla possibilità di creare nuove letture e nuove strade dentro se stessi e davanti mi sono passate le immagini di quelle VHS stra-consumate, nella testa avevo il rumore di fondo delle antenate delle vuvuzela e ad un certo punto visualizzavo le corse di quei ragazzi con la maglia azzurra e quelli in casacca oro. In alcuni casi mi sembravano molto più reali dei ragazzi che avevo di fronte.

Non ho mai capito bene che tipo di esercizio cognitivo sia ma ho fatto fatica a spegnerlo velocemente perché mi ha regalato una sensazione che raramente ho provato. Ero riuscito a collegare una località con tutto ciò che mi era stato raccontato, tramandato e ciò che avevo visto a distanza di anni da quanto era avvenuto. Per alcuni era e resterà un semplice giardino di periferia mentre per tanti sarà sempre il luogo dove si è giocata “La partita”, come ha ben scritto Piero Trellini.

Poco importa se l’ultimo goal in quello stadio fu segnato dal difensore spagnolo Ivan Campo, perché i Jardins del Camp de Sarrià sono una testimonianza dello stadio dove si giocarono le partite che aprirono le porte al terzo trionfo mondiale della Nazionale Italiana. Il primo che non arrivò sotto la dittatura fascista.

Non era la prima volta che passavo del tempo in un luogo dove anni prima si giocava a calcio (sono stato all’Arena Civica, al Flaminio, al Collana, al Vestuti) ma camminare su uno stadio che non c’è più è stata un’esperienza molto particolare. Spesso non c’è un motivo per cui si fanno alcune cose nella vita. O forse sì.

1 Comments

  1. Una delle cose più belle della vita è andare e vedere posti con gli occhi di un’altra persona specialmente se descritti e raccontati in questo modo speciale entrando in quei particolari che ti da la sensazione di essere in quel posto e sentirti parte di essi!! Grazie!!😘🍀

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