L’importanza di chiamarsi Arleo (a Potenza)

Il sostantivo maschile ‘legame’ indica in senso concreto ‘qualsiasi cosa con cui si lega o che tiene legato’ e ‘un vincolo morale o sentimentale’. Nel calcio di oggi, soprattutto quello lontano dalle spartizioni milionarie dei diritti tv e della Superlega, si parla sempre più spesso di identità e di legami con il territorio ma non sempre ci sono degli effettivi riscontri. Predicare bene e razzolare male, un grande classico. Non è stato così per il Potenza Calcio, che proprio da questo concetto è nata la salvezza dopo un inizio di stagione a dir poco tragico. Dalla fine di gennaio i rossoblù ha richiamato al timone un uomo che aveva già scritto pagine sportive importantissime per la comunità lucana e ci è riuscito anche questa volta. Pasquale Arleo ha preso una squadra all’ultimo posto e l’ha portata alla salvezza senza passare dai play-out compiendo un vero e proprio capolavoro, sia dal punto di vista tecnico che spirituale, dopo mesi di difficoltà e aiutando una comunità a restare nella geografia del calcio professionistico.

Quello tra l’allenatore potentino e la sua città è un legame vero, autentico, che va oltre le solite menate emozionali di cui oggi la narrativa sportiva è piena: Arleo con spirito di servizio e grande abnegazione ha risposto presente alla chiamata del club per cui lavorava come responsabile del settore giovanile e, sapendo cosa avrebbe trovato, ha messo subito le cose in chiaro: ‘Chi non se la sente di combattere questa guerra deve andar via’. Il tecnico aveva partecipato a diverse trasferte con i tifosi prima di tornare in panchina e, esattamente come loro, aveva sofferto nel vedere una squadra in difficoltà.

Poi l’impresa. Perché di questo si tratta. Una squadra ultima in classifica che con un ruolino di marcia fino ad allora sconosciuto riesce a mettersi dietro altre quattro squadre e a centrare una salvezza su cui pochi ci avrebbero puntato tranne lui. Chi continua a sottolineare solo la vicenda Catania non ha ben chiaro cosa voglia dire entrare in uno spogliatoio moribondo e rivitalizzare un’ambiente che aveva quasi perso ogni speranza grazie al lavoro e ai risultati.

Alla fine della gara contro la Juve Stabia il mister rossoblù è corso a esultare sotto la curva Ovest insieme ai suoi ragazzi e si è lasciato andare dopo mesi di tensione: era consapevole di aver firmato un’altra impresa per la sua città e voleva condividerla con quei tifosi che ancora oggi ricordano con gli occhi lucidi il 17 giugno del 2007. Un’altra impresa dopo quello che fu un vero miracolo sportivo.

Nessuno è profeta nella [propria] patria” si legge nel Vangelo secondo Matteo (13,7) ma per Arleo non è mai stato così: la lunga carriera da allenatore gli ha regalato tante soddisfazioni anche lontano da casa ma quelle centrate con il Potenza hanno sempre avuto un altro sapore per lui. In quei momenti sotto la curva, con i tifosi che lo applaudivano e lui che ricambiava, c’è probabilmente la sintesi di quello che significa il Potenza per Pasquale Arleo. Chiunque abbia assistito a quella scena non ha potuto non avvertire quell’elettricità e quell’unione che spesso e volentieri permette di raggiungere gli obiettivi.

Attraversando via Marconi per tornare a casa dopo l’ultima partita dell’anno al Viviani con un amico discutevano del rapporto che ha Pasquale Arleo con la squadra della sua città e il riassunto è stato questo: “È difficile essere Arleo a Potenza”. Probabilmente è così, ma ci sono legami che vanno oltre ogni cosa. Questo è uno di quelli. 

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